domenica 20 settembre 2009

I limiti del PIL

Viviamo un momento di grande fermento economico, di accesi dibattiti sulla condizione dell’economia mondiale e di svariati tentativi di previsione del futuro. Politici, economisti e statistici si confrontano per rispondere alla domanda: «Sarà depressione o ripresa?».
In questo clima di incertezza, tra lo sfoggio verbale di studi e teorie, si fanno largo nuove forme di pensiero: impostazioni ideologiche che pongono al centro dell’analisi l’uomo come parte integrante e armonica dell’ambiente che lo circonda e non più come meccanico produttore di oggetti, mosso da un’incessante desiderio di crescita.
In questo contesto, che necessita senza dubbio di un’articolata presentazione per essere pienamente compreso, si inserisce il tentativo di autorevoli organismi politici ed economici di sviluppare un nuovo indicatore per valutare il livello di ricchezza e la crescita di un Paese. Oggi l’unità di misura di tutte le attività economiche e l’indicatore del progresso in generale nei dibattiti pubblici è il famoso Prodotto Interno Lordo (Pil).
Il Pil, sommando consumi pubblici e privati, investimenti e tenendo conto di esportazioni ed importazioni, fornisce una misura della quantità di merce e di servizi prodotti da un Paese. Inoltre, essendo basato su una formula matematica chiara e riconosciuta internazionalmente, permette di effettuare confronti nel tempo e tra Paesi e regioni. Ma questo indicatore può rappresentare il livello di benessere e progresso di un Paese? No.
Quando in Tv vengono snocciolati i dati sul Pil possiamo interpretarli come un aumento o una diminuzione del nostro benessere generale (come avviene generalmente)? No.
Anche la Commissione Europea, in una recente comunicazione al Consiglio e al Parlamento, ha riconosciuto i limiti di questo indicatore:
«il PIL non può costituire la chiave di lettura di tutte le questioni oggetto di dibattito pubblico. In particolare, il PIL non misura la sostenibilità ambientale o l'inclusione sociale ed occorre tenere conto di questi limiti quando se ne fa uso nelle analisi o nei dibattiti politici»
Nel 2007 la conferenza Beyond GDP ha messo in evidenza la necessità di indicatori a completamento del Pil che possano fornire informazioni più esaurienti a sostegno delle decisioni politiche. Non è più possibile infatti non tenere conto di aspetti quali mutamenti climatici, biodiversità, inquinamento atmosferico, uso delle risorse idriche, consumo d’energia, smaltimento dei rifiuti, ripercussioni sulla salute.
Il problema è come misurare in maniera univoca gli aspetti sociali ed ambientali del benessere.
Un primo passo è stato compiuto: a febbraio 2008 Nicolas Sarkozy ha annunciato la creazione della “commission on the measurement of economic performance and social progress”, presieduta dal premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz. La commissione ha prodotto un rapporto, presentato alla comunità internazionale 6 giorni fa, nel quale si propone l’adozione di un nuovo indicatore: il Prodotto nazionale netto (Pnn), che tiene conto degli effetti della svalutazione del capitale in tutte le sue dimensioni, naturali e umane.
La discussione è tuttora aperta e sono certo che l’armonizzazione richiederà moltissimo tempo. Per l’Italia questa diffidenza può essere spiegata con le parole di Massimo Gramellini della Stampa:
«come italiano temo che le nuove regole ci trascinerebbero nel girone dei dannati. Già il nostro Pil deve sottrarre dal computo i guadagni degli evasori e dei mafiosi (che insieme fanno praticamente un altro Pil). Se poi l’indice dovesse allargarsi alle esperienze mistiche che ogni giorno colorano la vita di chi decide di spostarsi da una città all’altra o di chiedere un documento in un ufficio, prevedo che la nostra partecipazione ai G8 e ai G20 si ridurrebbe al ramo “ricevimento e catering”. A meno che gli economisti di Sarkò inseriscano nel paniere del benessere la voce “anarchia e impunità”, che all’estero molti ci contestano e al tempo stesso ci invidiano: allora rischieremmo di tornare in testa, e per distacco».
Non possiamo ignorare però che se le scelte politiche ed economiche continueranno a perseguire obiettivi di crescita del Pil andremo dritti verso il baratro. Cerco di spiegarmi in poche righe: consideriamo ad esempio i consumi privati, essi rientrano nell’indice come componente positiva.
Ogni volta che mi sposto in auto e resto bloccato nel traffico con il motore acceso accumulo stress, spreco il mio tempo, inquino, ma il carburante che consumo fa aumentare il Pil.
Quando vado a fare la spesa generalmente tolgo gli imballaggi inutili prima di riporre le cose acquistate al loro posto. Questi imballaggi non servono a niente, producono inquinamento, ma fanno aumentare il Pil.
Quando tiro lo sciacquone immetto acqua potabile nelle fogne, spreco ma aumento il Pil.
Quando gioco con i miei figli miglioro la qualità della mia vita, ma non aumento il Pil. Se pagassi una baby sitter per badare a loro, invece, farei aumentare il Pil.
Se smetto di fumare ne giova la mia salute, ma tolgo la spesa in sigarette dal Pil.
Gli esempi sono infiniti, ma tanto basta per comprendere che la metodologia utilizzata per il calcolo del Pil, non è sufficiente per poterlo definire indice di benessere, né di progresso.
Nel grafico che segue metto a confronto le variazioni del Pil dell’Italia con quello della Cina (i dati del 2010 sono stime del Fmi).

Il Pil cinese cresce indubbiamente più velocemente, ma possiamo in base a ciò affermare che lo sviluppo cinese comporti un maggior benessere? Non stiamo dimenticando le condizioni di lavoro, la libertà, i livelli di inquinamento?

Non dimentichiamo che già 40 anni fa un lungimirante presidente americano cominciava a delineare i limiti del Pil quale strumento di misurazione della ricchezza di uno Stato.
Ripropongo qui sotto il celebre discorso che fece il presidente Robert Kennedy il 18 marzo 1968.



Fonti:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo - Non solo PIL : misurare il progresso in un mondo in cambiamento

Beyond GDP ("Al di là del PIL")

Commission on the measurement of economic performance and social progress, Issues Paper, 25/07/2008.

Massimo Gramellini, L'indice della felicità, La Stampa, 15/09/2009.

La France prône une nouvelle mesure des richesses, Le Monde, 14/09/2009.

sabato 12 settembre 2009

Supermercati e stile di vita

Nel rispetto stilistico di questo blog dovrei attribuire un colore a questa riflessione, ma la definirei piuttosto multicolore, un po’ verde, un po’ gialla, un po’ rossa e anche un pochino arancione.
Veniamo al dunque: avete mai pensato a quanto i supermercati influiscono nel nostro stile di vita?
Lo stile di vita è influenzato in gran parte da ciò che consumiamo. Nonostante il periodo di difficoltà economica e la tendenza emergente a ricercare prodotti di nicchia e di alta qualità, il supermercato sembra aver vinto la battaglia per la conquista del consumatore medio.
Quest’ultimo si rivolge infatti al grande distributore spesso come unico fornitore di prodotti per l’alimentazione, la casa e l’igiene. Ciò avviene per economicità, per praticità o per comodità. Si pensi a chi (com’è ormai nella maggior parte delle famiglie) riesce a dedicare agli acquisti non più di due ore a settimana. Piuttosto che rivolgersi a cinque – sei negozi distinti, perdendo spesso il vantaggio di un prezzo più favorevole, preferirà entrare in un supermercato dove in un sol colpo può acquistare tutto ciò che gli serve.
I supermercati, come ormai svelato da più fonti, utilizzano svariate tecniche per attrarre l’attenzione dell’acquirente su determinati prodotti, favorendone alcuni e sfavorendone altri. Nonostante ormai queste tecniche siano conosciute dalla maggior parte di noi, spesso ci lasciamo condurre per mano nelle nostre scelte, seguendo, con tacita consapevolezza, quella che sembra la “moda” del momento, ma è che in realtà indotta dal distributore per suo vantaggio.
Altre volte il consumatore non riesce a raggiungere lo stile di consumo desiderato. L’esempio più lampante è la carne: ipotizziamo che io scelga un supermercato come punto di riferimento per i miei acquisti alimentari, perché più vicino a casa, o per una mia percezione di maggior qualità media dei prodotti rispetto ai concorrenti, o per mille altri motivi soggettivi. Ipotizziamo inoltre che il supermercato venda solo carne imballata con vaschetta di polistirolo e un doppio giro di cellophane. Ecco che, anche se per responsabilità ambientale io preferirei rinunciare all’imballaggio, nella mia borsa ci saranno la vaschetta di polistirolo e il foglio di cellophane. E similarmente sarà per molti altri prodotti.
Poniamo ora che il mio supermercato preferito esponga una vasta scelta di prodotti biologici. Ecco che sarò invogliato ad acquistare quel tipo di prodotti. Poniamo invece che il mio supermercato preferito non tenga affatto prodotti biologici, ma che io possa acquistarne in un negozio specializzato. È probabile che, visto che nel negozio specializzato ci devo andare apposta, anche se magari lo desidererei, il più delle volte a casa mia non ci saranno prodotti “bio”.
Indirizzo della scelta”, “imposizione”, “disponibilità” sono solo alcuni esempi di come il supermercato influenza i nostri consumi e il nostro stile di vita.
L’essere diventati così grandi e così importanti impone dunque ai supermercati l’onere di assumersi parte della responsabilità di quello che sarà lo stile di consumo medio dei prossimi anni.


I principi da seguire nel nuovo millennio si stanno rapidamente manifestando: sempre più persone, dopo lo scossone economico e gli allarmi ambientali, hanno compreso che è necessario modificare uno stile di vita insostenibile. Allora cerchiamo di adottare comportamenti corretti, che abbiano un minor impatto sull’ambiente, a partire dai nostri gesti quotidiani: minori consumi, scelta di prodotti di stagione a “chilometri zero”, limitazione degli imballaggi, scelta di fornitori che rispondano a principi di eco-sostenibilità.
I più avanguardisti cominciano a rivolgersi direttamente ai produttori, o a formare gruppi di acquisto, dribblando la grande distribuzione. Forse dovremmo farlo tutti, ma di certo richiede un grande sforzo che al momento pone un freno al diffondersi di queste pratiche. Se i supermercati riusciranno ad essere riconosciuti come fornitori eco-sostenibili e ad offrire al cliente la possibilità di raggiungere lo stile di consumo desiderato, con molta probabilità saranno ancora una volta vincitori: da una parte avranno riconquistato quei clienti che si stanno allontanando, dall’altra avranno influenzato positivamente i consumi e lo stile di vita di molte famiglie.
Sembra che qualcuno se ne stia accorgendo.
Come ci racconta la giornalista Marina Martorana nel blog “rispendo.Corriere.it”, ieri è stato inaugurato il primo Simply Sma green di Milano, un mass market verde, concepito in un'ottica di rispetto socio-ambientale, che coniuga risparmio energetico, riciclo di materiali e rifiuti, prodotti ecologici. Il nuovo supermercato utilizza infatti attrezzature ottenute da materiali riciclati, tecniche costruttive all’avanguardia per limitare i consumi energetici e propone ai propri clienti prodotti di largo consumo ecologici.
Se tutte le catene seguissero l’esempio tutti ne trarrebbero vantaggio: i supermercati attrarrebbero più clienti, i clienti attenti potrebbero acquistare prodotti migliori, i clienti indifferenti e quelli che hanno poco tempo sarebbero positivamente influenzati dall’offerta, l’ambiente ne gioverebbe.
Avanti così!

Nelle foto:
un supermercato “Iper, La grande I” vicino a Milano, tratta da http://www.retailforum.it/
una busta della spesa, tratta da http://www.effettoterra.org/

domenica 6 settembre 2009

Free Energy Island

Ecco quale potrebbe essere la casa del futuro: una cupola costruita sull’acqua, energicamente autosufficiente grazie allo sfruttamento del sole, dell’aria e del calore del sottosuolo, con un gradevole disegno architettonico e massima possibilità di scelta dei materiali di costruzione. La modularità, l’autosufficienza energetica di ogni abitazione e le caratteristiche costruttive permetterebbero di costruire da zero, senza necessità di precedenti lottizzazioni, come invece accade per le opere in muratura e soprattutto, come previsto dal progettista, a basso costo.
L’opportunità di costruire alloggi autonomi ed economici mi sembrano qualità ottime da implementare anche nei Paesi più poveri o con scarse infrastrutture.
La cosa che mi piace di più? La casa gira su se stessa per sfruttare al massimo il sole, sia come fonte di energia, sia per l’illuminazione interna!
Il progetto dell’architetto danese Ole Steen, di cui qui sotto riporto una presentazione 3d, verrà presentato a dicembre alla conferenza energetica in Danimarca.





Per approfondire:
www.free-energy-island.com

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Segnalo, questa sera alle 21.00 su Rai Tre, in “Presadiretta”

RESPINTI

«Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora 800 gli uomini e le donne che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia.
Eppure di tutti questi respingimenti non abbiamo mai visto neanche un’immagine : nessun telegiornale italiano, né pubblico né privato ha potuto documentare che cosa sia successo.

Presadiretta per la prima volta è riuscita ad alzare il velo sul primo respingimento, quello fatto nei giorni 6 e 7 maggio dalla motonave Bovienzo della guardia di finanza insieme ad altre due unità della capitaneria di porto . In esclusiva la RAI manderà in onda le foto scattate da Enrico Dagnino l’unico giornalista che si trovava a bordo della Bovienzo e che ha assistito al primo respingimento dal momento in cui è stato avvistato il gommone carico di migranti fino a quando sono stati letteralmente “buttati” sui pontili del porto di Tripoli .

Non solo, Presadiretta è riuscita anche a dare un nome e cognome a 24 dei primi respinti : tredici eritrei e undici somali, tutta gente che scappa dalla guerra e dalla dittatura , gente che se fosse riuscita ad arrivare a Lampedusa avrebbe potuto ottenere lo status di rifugiato e il permesso di restare in Italia. E invece agli uomini e alle donne trovati allo stremo delle forze in mezzo al mare nessuno ha chiesto il nome e il cognome e sono stati rimessi nelle mani della polizia libica»


Citazione da www.presadiretta.rai.it