mercoledì 21 dicembre 2011

Yovò c'è

Dopo anni passati nell'ultimo cassetto del settimanale, è fatta: Yovò è uscito dall'anonimato ed è pubblico.
Buona fortuna, giovane creazione!

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martedì 13 dicembre 2011

A. l'Alfabetista

"...parliamo dello stesso argomento, ma una parola o un nome fanno tornare loro in mente qualcosa di completamente personale, e cominciano a pensarci senza che nessuno si accorga di nulla. Nelle loro teste viene proiettato un film che nessun altro può vedere.
Se così fosse, come potremmo nel profondo del nostro essere interessarci agli altri? Percepire il dolore di un altro individuo. Crediamo di farlo, ma un assassino è la dimostrazione che non è possibile. Può uccidere proprio per il fatto che non sente la disperazione degli altri mentre urlano e si difendono. Per un omicida si tratta solo di corpi estranei."

[Torsten Pettersson, A. L'alfabetista, pag. 156]

Nuova recensione nella sezione LIBRI

sabato 10 dicembre 2011

Yovò

I tempi sono maturi per segnalarvi la neonata iniziativa Yovò.

Consiglio di leggere i post in ordine cronologico, naturalmente partendo da BENVENUTO

lunedì 5 dicembre 2011

Tempo - commento che non si riesce ad inviare

Organizza il tempo per fare quel che DEVI, per avere il tempo di fare quel che VUOI.


domenica 13 novembre 2011

Pensiero economico negativo

I miei sforzi per tenermi lontano da pensieri negativi e riflessioni sull’attualità barcollano. Mi concedo solo una brevissima parentesi.


La situazione politica e la congiuntura economica (frutto da una parte di anni di corruzione e scelte politiche populiste, economicamente catastrofiche ma utili ad accaparrare consenso, dall’altra di un sistema economico complessivo illogico che sta dando comprensibili segni di malessere) sono talmente insostenibili che, probabilmente, un governo tecnico, temporaneo, anche se lontano miglia e miglia dalla democrazia, è la migliore possibilità per riequilibrare i conti e ridare credibilità internazionale al nostro Paese. Così potremo anche rifinanziare quel debito che tanto preoccupa creando altro debito (ma lasciamo perdere perché altrimenti mi viene l’ansia per il futuro delle mie figlie).

Tanto per rimanere sull’oggi, in attesa della “pillola risolutiva” che sta per arrivare (per fortuna non è quella dell'FMI!) propongo un estratto da un articolo di Andrea Degl'Innocenti su Il Cambiamento che mi spinge, malgrado intenzioni contrarie, a riflettere:

«Il meccanismo è noto, ed è illustrato con chiarezza nel documentario “Shock Economy” curato da Naomi Klein. La giornalista e scrittrice canadese spiega come il sistema capitalistico neoliberista, nato dalle teorie dell'economista Milton Friedman in opposizione politiche keynesiane, utilizza gli stati di shock emotivo per imporre alle popolazioni misure che altrimenti non sarebbero disposti ad accettare. Gli shock possono essere provocati da catastrofi naturali, guerre, crisi economiche. In ciascuno di questi casi il risultato non cambia. È avvenuto in Cile con il regime di Pinochet, amico e seguace di Friedman, si è ripetuto ad Haiti dopo lo Tsunami – tutte le spiagge sono state privatizzate – e avviene nelle recenti guerre in Iraq, Afghanistan e Libia.

“Stiamo assistendo ad un trasferimento di beni di dimensioni incommensurabili – spiega la Klein nel documentario – dalle mani pubbliche, dei governi (soldi presi dalla gente comune, sotto forma di imposte), nelle mani delle persone e delle imprese più ricche del mondo, tralasciando di dire che sono le stesse persone e imprese che creano questa crisi”. E tutto ciò avviene proprio attraverso la “Dottrina dello shock”, ovvero “ il sistematico saccheggio della sfera pubblica dopo un disastro”.»

E non ci saranno né responsabili, né colpevoli. Né a destra, né al centro, né a sinistra. Un applauso, grazie!!

domenica 16 ottobre 2011

Conferenza decrescita per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale. Venezia.

L'idea inizia ad affiorare. Ciò che è solo ancora nell'aria inizia a concretizzarsi verso la definizione di un nuovo modo d'essere. Siamo ancora agli albori, ma, a poco a poco, la sagoma prenderà forma.
Tra poco meno di un anno Venezia ospiterà la 3a Conferenza internazionale sulla decrescita per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale. Il futuro.

mercoledì 24 agosto 2011

Logica o immaginazione?

"La logica ti porterà da A a B. L'immaginazione ti porterà ovunque."


[Albert Einstein, 1897-1955]

giovedì 2 giugno 2011

Acqua e nucleare, una guida ai referendum del 12 e 13 giugno

La Corte di Cassazione ha confermato il referendum sul nucleare. Il 12 e il 13 giugno andremo quindi a votare per nucleare, acqua e legittimo impedimento. L'esito del referendum, almeno per i primi due quesiti, avrà conseguenze importanti per molti anni a venire. Mi viene chiesto di esprimere la mia opinione e cerco quindi di informarmi in qualche modo. Ho trovato un'interessante e semplice guida a cura di Andrea Degl'Innocenti che riporto integralmente di seguito, certo che la sua intenzione sia la massima diffusione dei concetti illustrati.
Chi preferisce leggere l'articolo nel sito di pubblicazione originale può cliccare qui.

«Di seguito cercheremo di capire perché è importante – ma più che importante fondamentale, essenziale – che il 12 e il 13 giugno prossimi una gran folla di gente vinca l'apatia dell'afa estiva, si stacchi dal ventilatore e si rechi alle urne a votare. Mi scuso fin da subito per i toni un po' più colloquiali e spicci di quanto si dovrebbe che userò nel corso dell'articolo, ma è bene intendersi fin da adesso: qui è in gioco una buona fetta del nostro futuro, e di quello dei nostri figli e nipoti.

Sono quattro i referendum in questione: due riguardano l'acqua, uno il nucleare, uno il legittimo impedimento. Di quest'ultimo non ci occuperemo in questa sede, dato che si tratta di un argomento molto circostanziato, che poco ha a che fare con gli altri due.

Iniziamo col chiarire un aspetto tecnico, che so per esperienza non essere così immediato. Chi vorrà affermare, in sede referendaria, che l'acqua è un bene comune e che il nucleare deve essere messo definitivamente al bando, dovrà votare per tre volte SI. Poi analizzeremo nel dettaglio cosa significa ciascuno di questi sì, ma vorrei fosse chiaro fin da ora che anche per dire no al nucleare va sbarrata la casella del sì. Se infatti è abbastanza intuitivo che si debba votare sì per l'acqua pubblica, potrebbe apparire un controsenso, a chi non abbia qualche nozione giurisprudenziale, barrare il sì per fermare il nucleare.

La ragione di questo apparente controsenso va ricercata nelle regole dell'istituto referendario. Sebbene nel nostro paese siano costituzionalmente previste quattro diverse forme di referendum, l'unica di fatto utilizzata è il referendum abrogativo. Quello cioè che chiede agli elettori se vogliono abrogare – ovvero sopprimere – una determinata legge o parte di essa. Tutti i referendum abrogativi iniziano così: “volete voi che sia abrogato” eccetera eccetera. Ecco quindi che per dire no al nucleare vi sarà chiesto di abrogare la norma che sancisce la sua introduzione nella legislazione italiana. Fatta questa doverosa precisazione andiamo ad analizzare più nel dettaglio i contenuti dei tre referendum.

L'ACQUA
L'acqua è un bene comune che appartiene a tuttiPartiamo dall'acqua, e scusatemi se mi dilungherò un po' nelle spiegazioni, ma è giusto che chi andrà a votare abbia tutte le informazioni necessarie per prendere liberamente e consapevolmente la sua decisione. La mia esperienza ai banchetti di raccolta firme mi dice che molto poco si sa sul processo di privatizzazione da anni in atto in Italia. A chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere il libro di L'acqua è una merce di Luca Martinelli [...]. Qui ci limiteremo a richiamare le due principali tappe della privatizzazione: la legge Galli ed il decreto Ronchi.

La legge Galli, numero 36 del 1994, suddivideva il territorio italiano in una serie di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) all'interno dei quali “l'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue” doveva essere gestito da un unico soggetto 'affidatario'. Le caratteristiche dell'affidatario potevano essere le seguenti: una società per azioni a totale capitale pubblico (che prende il nome di in house); un partner privato da affiancare al vecchio gestore pubblico, scelto con gara aperta a tutti i concorrenti europei; un soggetto privato. La legge, inoltre, introduceva il principio del full recovery cost: sanciva cioè che tutto il costo della gestione del servizio idrico fosse caricato sulla bolletta e non rientrasse più fra gli ambiti della fiscalità generale (fatto di dubbia costituzionalità, visto che così il prezzo perde ogni rapporto con il reddito di chi usufruisce). In particolare veniva stabilito un addebito in bolletta che garantisse un 7% di guadagno minimo al gestore. L'acqua fu resa, di colpo, un investimento molto appetibile.

Il decreto Ronchi, decreto legge numero 135 del 2009, trasformata nella legge Ronchi-Fitto nel novembre dello stesso anno, ha completato l'opera di privatizzazione mettendo definitivamente al bando tutti quei comuni che avevano scelto la gestione in house. Si tratta di una legge sull'attuazione degli obblighi comunitari e i servizi pubblici locali che all'articolo 15 – quello incriminato – recita “adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici di rilevanza economica”. È chiaro fin da subito, dunque, che l'acqua è considerata alla stregua di una merce. Nella legge, poi, sono presenti alcune incongruenze che rendono chiaro come la tanto sbandierata “liberalizzazione dei servizi” si traduca in una svendita a favore dei grandi investitori privati. La prima viene definita da Daniele Martinelli “paradosso del mercato”: si prevede che tutti i soggetti privati scelti con affidamento diretto per affiancare i gestori pubblici mantengano le proprie quote, e che la partecipazione degli enti locali in queste società scenda sotto la soglia del 30 per cento entro il 2015. In altre parole, da un lato viene rivelato che alcuni soggetti privati si sono inseriti nella gestione pubblica dei servizi idrici senza passare per alcuna gara (come invece previsto dalla legge Galli); dall'altro viene concesso a tali soggetti di restare “in sella”, anzi di accrescere la propria partecipazione a discapito del pubblico, contraddicendo la legge del mercato (e della concorrenza) sul cui altare sono state sacrificate le gestioni in house. La seconda incongruenza viene definita “fallimento del mercato”: la legge prevede infatti che in alcune “situazioni eccezionali”, determinate da “caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale […] l'affidamento può avvenire a società a capitale interamente pubblico”. Ciò significa che il privato sarà libero di investire solo laddove ritiene possibile garantirsi un profitto.

Dopo questo excursus negli aspetti giurisprudenziali del processo di privatizzazione, occorre smentire alcuni luoghi comuni, confezionati ad arte, che circolano da tempo fra coloro che osteggiano i referendum e continuano a ripetere come un mantra che “privato è bello”. Eccoli di seguito.

Privatizzazione=efficienza, efficacia, economicità. Partiamo da quello forse più utilizzato dai fautori delle privatizzazioni: le famose “3 e” che caratterizzerebbero in positivo il privato rispetto ad un pubblico per assioma lento, inefficiente e caro. Partiamo dall'ultima “e”, l'economicità, dimostratasi fin da subito del tutto inveritiera. I comuni che hanno già sperimentato l'affidamento privato sanno bene che nella maggior parte dei casi le bollette hanno subìto impennate significative. In Toscana, una delle prime regioni ad adeguarsi quasi completamente alle norme di privatizzazione, si beve l'acqua più cara d'Italia, con un aumento tariffario che nell'ultimo anno è stato dell'11,8 per cento. L'aumento dei prezzi – che gli stessi fautori della privatizzazione si sono trovati costretti ad ammettere – viene generalmente giustificato con la scusa degli investimenti: le bollette sono più care perché sono stati fatti più investimenti per migliorare le reti idriche, che in Italia versano in condizioni disastrose (si perde quasi il 50 per cento dell'acqua potabile). Ma non è così. Gli investimenti necessari sono tanti di tale portata che nessun privato ha la capacità – e l'intenzione – di sobbarcarseli. Lo dimostra un'indagine di Mediobanca: il miglior acquedotto d'Italia – a livello infrastrutturale – è quello di Milano e provincia, gestito da Metropolitana Milanese (100% del Comune di Milano) e da Amiacque (100% pubblica); il peggiore è quello romano, gestito da Acea, una delle società più invischiate nel processo di privatizzazione, sulla quale hanno già messo le mani il Gruppo Caltagirone ed una multinazionale francese del calibro di GDF Suez.

Privatizzare=liberalizzare. Un'altra tecnica molto in voga al giorno d'oggi è quella di cambiare le parole lasciandone invariato il significato. Ecco quindi che i temibili inceneritori diventano dei più rassicuranti “termovalorizzatori”, ed ecco che le privatizzazioni diventano liberalizzazioni. Ma se già questa pratica di scambio è odiosa a prescindere, nel caso dell'acqua risulta persino spudoratamente menzognera. Quando si parla di liberalizzazione infatti, si parla di apertura al mercato e alla concorrenza. Nella gestione del servizio idrico, invece, non c'è nessuna concorrenza. Una volta che il privato si è aggiudicato la gara d'appalto, egli resta in una condizione di assoluto monopolio per 20-30 anni, la durata del contratto. Altro che liberalizzazione, qui si sostituisce il tanto biasimato “monopolio pubblico” – già di per sé una contraddizione in termini – con un ben peggiore “monopolio privato”.

Gestione privata=acqua pubblica. Infine ecco il più infido degli inganni, quello che vuole che ad essere privatizzata sia solo la gestione del servizio, mentre l'acqua, la sostanza, rimarrebbe un bene comune inalienabile. E ci mancherebbe! Nessuno sarebbe in grado, anche volendo, di appropriarsi e ingabbiare una risorsa che sgorga dalla terra e cade dal cielo. Ma ciò che interessa l'uomo nella sua vita di tutti i giorni è la sua gestione: chi porta l'acqua nella sua casa, a che prezzo e di quale qualità. Ci interessa che venga garantito a tutti il libero accesso alla risorsa. Che importa che questa sia formalmente di tutti se poi non tutti possono permettersela?

Ecco allora che per riaffermare la proprietà – o gestione che dir si voglia – comune dell'acqua sono stati elaborati due quesiti referendari (erano inizialmente tre ma uno non ha passato il vaglio della Corte Costituzionale).

Il primo richiede l'abrogazione dell'art. 23 bis Legge 133/08 e sue successive modifiche introdotte con l'Art. 15 del famoso Decreto Ronchi, di cui abbiamo già parlato prima (D.L. 135/2009); annullando tale articolo – che stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati o a società a capitale misto pubblico-privato – si vuole contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici.

Il secondo richiede l'abrogazione della parte dell'art. 154 del Decreto Ambientale 152/06 relativa alla remunerazione del capitale investito; si tratta di un decreto che, integrando e in parte sostituendo la Legge Galli, stabilisce che “la tariffa è determinata tenendo conto [...] dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito [...]”; abrogando questa parte di articolo si annulla il principio del profitto minimo garantito, rendendo l'acqua un investimento non più così conveniente.

IL NUCLEARE
Le scorie nucleari restano radioattive per oltre 200mila anniPer quanto possa sembrare strano, non tutti sanno che l'Italia ha un trascorso abbastanza significativo di produzione di energia nucleare. La storia del nucleare nel nostro paese è iniziata nel 1963, con la costruzione della prima centrale, a Latina. Seguirono, nel giro di neanche un decennio, le centrali di Sessa Aurunca, Trina e Caorso. Già nel 1966 l'Italia era il terzo paese per produzione di energia nucleare al mondo, dopo Usa e Inghilterra. Poi nel 1987 il mondo intero fu scosso dal disastro di Černobyl' e l'energia nucleare si rivelò all'improvviso per quello che è: un pericolosissimo ordigno pronto ad esplodere in qualsiasi istante. In Italia si decise di correre ai ripari indicendo un referendum. Quasi 30 milioni di elettori accorsero alle urne per bandire definitivamente, così almeno speravano, le centrali nucleari dal nostro paese. Nel 1990 l'ultima centrale venne dismessa. Dunque è durata poco più di vent'anni l'esperienza nucleare italiana, ma questi sono bastati a produrre scorie radioattive di cui il paese non sa come liberarsi, che ancora oggi inquinano mari e terreni coltivati.

Poi, a 18 anni di distanza, con il decreto-legge numero 112 del 2008 il Governo ha deciso di tornare indietro, annullando la volontà dei cittadini e reintroducendo l'energia nucleare. Il decreto è stato poi convertito nella legge 133/2008, approvata dal Senato con 154 voti a favore, un solo voto contrario e un solo astenuto, con Pd e Idv che hanno abbandonato l'Aula al momento del voto. A poco sono valse le proteste ed i ricorsi intentati dalle regioni: il nucleare in Italia “s'ha da fare”.

Il problema maggiore che si sono trovati ad affrontare il Governo e la potente lobby del nucleare, è stato come convincere le persone – in buona parte le stesse che nell'87 dissero di no – che il nucleare è cosa buona e giusta; come mascherare la belva da cucciolo. Ecco allora che, scervellandosi, si sono inventati una sequela di fandonie persino più colossali ed abbondanti di quelle sull'acqua.

Un'ottima ricognizione è quella fornita da Legambiente in un ampio contributo che rendiamo disponibile a lato di questo articolo. Alcune sono menzogne spudorate: “il nucleare è una fonte di energia rinnovabile”, “il nucleare sarà la prossima fonte energetica del futuro nel mondo”; è ovvio che il nucleare non è un'energia rinnovabile in quanto si basa sullo sfruttamento di una materia prima, l'uranio, presente in natura in quantità finite (per non dire scarse), e di conseguenza è altrettanto palese che l'energia del futuro non sarà quella nucleare. Altre più sottili: “il nucleare è pulito”, “il nucleare aiuta a ridurre il surriscaldamento del pianeta”; certo il nucleare è più pulito rispetto ad una centrale a carbone in termini di emissioni, ma come vedremo le perdite radioattive in seguito agli incidenti ed il problema delle scorie rendono quella nucleare un'energia tutt'altro che pulita. Altre ancora, infine, erano considerate quasi dei dati di fatto assodati prima che l'ennesimo disastro, quello di Fukushima, svelasse al mondo intero la loro natura menzognera: “il nucleare di nuova generazione è sicuro”, “un disastro come quello di Černobyl' non potrà più ripetersi”.

Questa sequela di luoghi comuni e falsità serve a coprire le tre grandi aree problematiche che riguardano il nucleare: la sicurezza, lo smaltimento delle scorie e l'antidemocraticità.

La sicurezza. Dicevamo che la lobby dei nuclearisti era quasi riuscita a convincere il mondo sulla sicurezza delle nuove centrali nucleari. È stato necessario un altro disastro di portata planetaria per svelare le fragili basi su cui poggiavano i loro teoremi. Ma Černobyl' e Fukushima sono solo due dei casi più eclatanti di una miriade di incidenti che costellano la storia dell'energia nucleare. In 50 anni si sono verificati circa 150 incidenti nucleari, di cui 14 compresi fra i livelli 4 e 7 della scala di pericolosità stilata dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Il fatto è che la presunta sicurezza delle centrali si basa su una concezione di rischio relativa a ciascuna zona. In Giappone, ad esempio, nessuno pensava che potesse arrivare un terremoto superiore agli 8,5 gradi della scala Richter, dunque le centrali erano progettate per resistere a scosse fino a quella entità. Poi è arrivato un sisma di 8,9 e le strutture non hanno retto. Le centrali italiane saranno costruite per resistere a delle scosse di circa 7,1 gradi, ma nessuno ci assicura che un giorno non arriverà un sisma più potente. Quello della sicurezza, poi, non è certo l'unico problema relativo all'energia nucleare. Forse è il più eclatante, probabilmente non il più pericoloso.

Lo smaltimento delle scorie. I rifiuti delle centrali nucleari, le cosiddette scorie, restano radioattive per un tempo che supera i 200mila anni. In queste poche parole sta racchiuso l'aspetto più oscuro e spaventoso dell'energia nucleare. È evidente infatti che, per quanto si affannino in molti a ribadire la sicurezza dello stoccaggio delle scorie, non esiste nessun materiale, né il vetro, né l'acciaio (attualmente i due materiali più usati per contenere i rifiuti radioattivi) capaci di durare tutto questo tempo. Stiamo caricando delle bombe ad orologeria sulle spalle delle generazioni a venire. Ci abbiamo riempito il mare, rimpinzato il ventre della terra. La follia di questa operazione risulta evidente da un dibattito attualmente in corso fra i “filosofi” del nucleare: se sia meglio segnalare la presenza delle scorie alle future generazioni o nasconderle in luoghi dove si pensa che nessuno andrà a scavare. Da una parte c'è chi ipotizza di costruire degli enormi segnali di pericolo in un linguaggio comprensibile alle future civiltà in corrispondenza delle discariche di scorie, poste in genere a grandi profondità in bolle di argilla. Dall'altro c'è chi si chiede se una costruzione non possa invece sortire l'effetto contrario, ovvero attirare l'attenzione e spingere ad indagare, scavando; dunque, se non sia meglio stipare i rifiuti tossici in luoghi il più possibile anonimi e privi d'interesse. Ma chi può prevedere come sarà un luogo fra 200mila anni? Chi può immaginare come sarà il mondo allora? È come se l'uomo di Neanderthal si fosse dovuto preoccupare di comunicare con noi: siamo sicuri che avremmo recepito il messaggio?

L'antidemocraticità. Un'ultima area problematica relativa all'energia nucleare è quella della mancanza di democrazia nella sua gestione. Le centrali nucleari, nel mondo, sono sotto il diretto controllo degli eserciti o di collegi specifici, che possono decidere quali informazioni diramare, quali tenere segrete. Come ammette Renaud Abord de Chatillon, ingegnere membro del Corps des Mines (il collegio che controlla il nucleare in Francia), “l'industria del nucleare non sa che farsene della democrazia, è simile ad un'aristocrazia repubblicana. E dove c'è aristocrazia non c'è spazio della democrazia”. La segretezza che circonda il nucleare ha indotto molti a pensare che il nucleare civile, quello usato per la produzione di energia, nella maggior parte dei casi non sia che una mera copertura per i programmi nucleari militari. Come sostiene il fisico Amory Lovins, “l'elettricità in una centrale nucleare non è che un sottoprodotto”.

Per fermare il ritorno del nucleare in Italia il quesito referendario presentato dall'Italia dei Valori propone di abrogare l'articolo 7, comma 1, lettera d del decreto-legge 112 del 2008, che prevede la "realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare".

CONNESSIONI
Nucleare e acqua: due tematiche fortemente correlateLungi dall'essere due temi distanti l'uno dall'altro, acqua e nucleare presentano una fitta rete di connessioni. L'acqua infatti è sempre il primo elemento a fare le spese dell'inquinamento radioattivo, e la contaminazione delle falde acquifere da parte delle scorie nucleari è ad oggi uno dei rischi maggiori per il pianeta. Nell'attuale cataclisma Giapponese l'acqua del mare nei pressi della centrale di Fukushima è stata uno dei rilevatori più lampanti del tasso di contaminazione raggiunto (la radioattività era di 7,5 milioni di volte superiore al normale).

Inoltre è con l'acqua che si raffreddano le centrali e nell'acqua vengono lasciate riposare per 5-10 anni le barre di uranio dopo essere state utilizzate nelle centrali. Dunque sbarrare un sì contro il nucleare significa anche garantirsi un accesso ad un'acqua sicura e non contaminata, mentre riaffermare che l'acqua è di tutti significa anche avere il controllo sugli usi che se ne fanno e sul suo stato. Se l'acqua è privatizzata, niente impedisce a chi gestisce una centrale nucleare di controllare localmente la risorsa idrica, di modo da bypassare i controlli e poter riversare liberamente i liquami radioattivi.

DEMOCRAZIA DIRETTA E PARTECIPATIVA
Vorrei concludere questa panoramica con una considerazione sul valore simbolico dello strumento referendario all'interno del processo di riappropriazione di due beni comuni fondamentali come l'acqua e l'energia. Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, l'unico – se si escludono le leggi di iniziativa popolare, così poco considerate in Parlamento – che permette ai cittadini di dire la loro, di incidere sulla configurazione societaria senza passare per interposta persona.

Ma il referendum è anche il punto culminante di un cambiamento sociale di cui tutti noi ci possiamo fare portavoce. Un cambiamento che è già in atto e che afferma che non tutto può essere considerato una merce, che esistono dei beni che appartengono a tutti e degli argomenti su cui tutti hanno il diritto di prendere decisioni. Il compito che ci spetta non si può ridurre all'atto di andare a votare. Quello sarà solo l'ultimo atto. Se vogliamo veramente riappropriarci della nostra facoltà decisionale, di quella sovranità che ci è assegnata dalla costituzione e sottratta, ogni giorno, da chi usa la politica come uno strumento per curare i propri interessi, dobbiamo darci da fare fin da adesso. Dobbiamo immettere le nostre conoscenze in rete, fare rete noi stessi. E per reti non intendo semplicemente il web, o internet; internet è solo un esempio di rete. La rete è piuttosto una forma, un modello sul cui stampo si configurano le relazioni sociali contemporanee. Dunque mettere un contenuto in rete significa condividerlo all'interno delle proprie reti di relazioni sociali, con i mezzi di cui si dispone. Si può fare un video e metterlo su Youtube, o realizzare un progetto assieme ad altre persone, così come si possono condividere le proprie informazioni con il barista che ti prepara il caffè la mattina, o con il fornaio o i colleghi di lavoro. Solo così sarà possibile diffondere il cambiamento. Solo così potremo sperare che il 12 e 13 giugno 25 milioni di italiani e più escano di casa e vadano a votare per i referendum.»

Voterò? Beh... sono pronto a rinunciare anche al condizionatore d'estate e alla lavastoviglie piuttosto che lasciare alle mie figlie una valigia di scorie nucleari da smaltire!
















































domenica 8 maggio 2011

Autostrade spaziali

"Come indubbiamente già sapete, i piani per lo sviluppo delle zone più remote della Galassia richiedono la costruzione di un’autostrada iperspaziale che attraversi il vostro sistema solare, e purtroppo il vostro pianeta è uno di quelli che è necessario demolire. Il procedimento durerà poco meno di due dei vostri minuti terrestri. Grazie."

Immagine: Planetary Photojournal, Jet Propulsion Laboratory, NASA

martedì 19 aprile 2011

Fotoni e fisica. Sveglia!

“Il dono più grande che ci ha fatto dio è senz’altro questo: che quando un fotone colpisce un semiconduttore libera un elettrone. Le leggi della fisica sono talmente benevole, talmente generose. Senta qua. C’è un uomo nella foresta, sotto la pioggia, e sta morendo di sete. Ha con sé un’accetta e comincia a tirar giù gli alberi per berne la linfa. Un sorso per ogni albero. Intorno gli si fa il deserto, niente più piante o animali, e l’uomo sa che per colpa sua la foresta scomparirà presto. Allora perché non apre la bocca e non beve la pioggia? Per il semplice motivo che è molto bravo a tirar giù alberi, perché ha sempre fatto così, e perché considera un po’ suonato chi propone di bere la pioggia. Ecco, la luce del sole è come quella pioggia. Inonda il nostro pianeta, condiziona il nostro clima e la sua vita. Una dolcissima pioggia di fotoni e tutto quel che dobbiamo fare è prendere i bicchieri e raccoglierla! Meno di un’ora di luce solare sulla terra basterebbe a soddisfare i bisogni del mondo intero per un anno.”

[Ian McEvan, Solar, Einaudi, 2010]



domenica 10 aprile 2011

Maschi, Femmine e Barbecue

«Come al solito, gli uomini si raccolsero intorno al barbecue dandosi arie virili mentre le donne parlavano in disparte. Erica non aveva mai capito il rapporto tra i maschi e la griglia. Ce n'erano alcuni che in circostanze normali avrebbero affermato di non avere idea di come si cuoce un pezzo di carne in una padella ma che si ritenevano imbattibili se si trattava di grigliarne uno all'aperto. Le donne potevano al massimo preparare i contorni, ma funzionavano benissimo per andare a prendere le birre.»

martedì 22 marzo 2011

Boccamurata

"«Un’ultima cosa: non una parola.» Il suo sguardo era duro.
«Io ho la bocca murata.» Dall’angolo dell’occhio le scivolò una lagrima.
«La bocca murata… Lo diceva nostra madre…»
E le passò il dito sulla guancia.”

domenica 13 marzo 2011

Emozioni urbane

«Erano stati anni di gravi pericoli e oscuri presagi. I tedeschi avanzavano e Parigi era sulla loro traiettoria. Eppure, per una ragazza che veniva da un paesino del Périgord, il caos cittadino era inebriante e Odile tracannava emozioni come vino.»

sabato 5 marzo 2011

Il lato oscuro delle buone intenzioni

Salì le scale cercando la sua espressione più indifferente e infilò la chiave nella serratura con la mano libera. La luce accogliente dell’appartamento all’ultimo piano lo risucchiò all’interno. Con un rapido movimento degli occhi esplorò soggiorno e cucina, cercando la figura snella di Marta. L’appartamento era caldo e lucido, profumava di pulito e di fiori, forse quelli che le aveva fatto recapitare quel mattino. Per togliersi il cappotto avrebbe dovuto appoggiare da qualche parte il pacchetto regalo che nascondeva dietro la schiena. Si sedette nel divano, davanti alla Tv accesa.
«Arrivooo» cinguettò Marta dalla camera da letto.
Un sorriso compiaciuto gli spuntò in faccia. La collana era una buona idea. La immaginò con quella collana di pietre addosso e nient’altro, il suo sguardo giocoso riflesso nel viola dell’ametista.
La TV satellitare lo distolse dalle sue fantasie. Un bambino magrissimo si stava logorando le manine lavorando una pietra molto simile a quella. Fatalità!
- Non guardare, non guardare, non guardare – si disse. Cercò il telecomando. Inutile. L’eterna lotta tra piacere e coscienza ricominciò a logorargli la mente.
«Ancora un attimo» disse la vocina dietro la porta.
- E adesso, che cavolo faccio? -
Marta lo trovò nel divano, inebetito, ad osservare un pacchetto.


sabato 12 febbraio 2011

Ideologia e cretinismo

«Come va il mondo» esclamò l’uomo leggendo le notizie del suo giornale. «Si sa che, nelle fasi più avanzate del cretinismo, la mancanza d’idee viene compensata dall’eccesso di ideologie.»